TUTTI SCRITTORI!Come difendersi dai corsi di scrittura creativa

Migliaia di scrittori, centinaia di case editrici, 82.719 le opere librarie pubblicate in Italia nel 2021.
Tutti scrittori?

Ovviamente il titolo del pamphlet è una provocazione (e lo è in un certo modo anche il sottotitolo). Temo che queste cifre siano al netto dei cosiddetti aspiranti (altre decine di migliaia), e di quegli editori che sono poco più che stampatori (altre migliaia), il numero di libri pubblicati nel 2021 a me figura essere 85’551, ma in verità le statistiche non cambiano i fatti: sono tutti scriventi, autori delle storie che scrivono, ma, per citare il Treccani alla voce «scrittore», immagino che siano in pochi ad avere come intenzione principale quella di: «comporre e scrivere opere con intento artistico». Molti scrivono con intenti commerciali, altri d’intrattenimento, altri ancora divulgativi, molti semplicemente scrivono per raccontare la loro storia di vita, alcuni per «sfogo», e poi dovremmo togliere i ricettari, i saggi legali e contabili, quasi tutta la narrativa per l’infanzia che ha intenti educativi, e via elencando. Una delle massime ambizioni di una buona scuola di scrittura narrativa, secondo me, è infatti quello di smarcare i propri allievi da queste motivazioni stigmatizzate da chi intende la letteratura come una vera e propria espressione d’arte. Poi, siccome non viviamo in un mondo perfetto, ci sta che a volte ci si accontenti di aiutare a far bene, nel migliore dei modi, anche un prodotto non prettamente artistico, o per dirla in modo meno generico, non per forza letterario.
«80 esperienze sfacciatamente schiette per risolvere una volta per tutte l’annoso caso della plausibilità di insegnare la scrittura creativa.»
Si può insegnare la cosiddetta «scrittura creativa»?

Anche la definizione «Scrittura creativa» è da me usata per convenzione; io preferirei parlare di scrittura narrativa o, spingendomi all’estremo, di «scrittura letteraria» (ho sempre pensato che chi punta al dieci possa portarsi a casa almeno la sufficienza).
Vengo alla risposta: dipende, sia dal tipo di scuola, sia dal tipo di studente. Ma in linea di massima, sì, se si ha un minimo di talento (e almeno altrettanta umiltà, e tenendo in considerazione quanto ho raccontato nel libro, eccetera).
In una buona scuola di scrittura il talento può essere potenziato, a volte anche scoperto, ma più spesso viene spolverato, sgrezzato, e fatto fiorire.
Lei fa riferimento a ben 80 esperienze riportate con schiettezza: dal vissuto si può cogliere il senso della scrittura come resistenza in questo incerto presente?
Vediamo se ho compreso la domanda: mi chiede se – in questo momento di crisi economica, di conflitti internazionali, di pericoli virali, di egocentrismo sfrenato, di corsa al consumismo, di impossibilità di sognare, di aumentati problemi psichiatrici, di follie di massa, di surriscaldamento ambientale e perdita di biodiversità, di fallimenti e ricerche di energie rinnovabili funzionanti, eccetera, che noi tutti stiamo vivendo – rifugiarci nella scrittura possa servirci da ansiolitico? Giusto?
Diciamo che non credo sia questo lo scopo della buona scrittura, non è il mio scopo, di certo. Più che «farci resistere», potrebbe farci diventare portatori di sguardi diversi sulle cose del mondo, potremmo fornire altri punti di vista, potremmo trovare le parole per dire cose ancora taciute…
«…e poi fanno commentini tra i denti, come quelli che a un funerale ti tirano gomitate durante la messa»: quali dinamiche si instaurano tra i frequentanti di corsi di scrittura creativa?
Uh! Per rispondere a questa domanda dovrei riscrivere il libro nel poco spazio disponibile. Diciamo intanto una cosa banale: le dinamiche di gruppo che vengono a crearsi dipendono dagli individui che compongono il gruppo. La citazione qui riportata si riferisce a quei soggetti che invece di iscriversi a un corso per imparare, entrano in aula per mettere alla prova il docente, e lo fanno normalmente cercando alleati contro il «sistema». Sono i prevenuti, quelli che sfidano tutti con sicumera e non per dimostrare di saperne di più, ma solo per mettere in difficoltà e far cadere il «maestro». Adottano diversi sistemi anche infantili, con atti di disturbo, picchiettando la penna sul tavolo, sbadigliando, facendo battutine critiche verso il docente, con il compagno di banco… ecco, in questa scheda io invito a non lasciarsi manipolare da queste macchine mangia-tempo. Come questo esempio, ce ne sono tanti altri. Così come vengono instaurate dinamiche trasversali e ci si confronta normalmente con più svariati tipi di invidia, ma si stringono pure amicizie solidali.
Come si può in un contesto scolastico, dunque normato, quale quello delle scuole di scrittura, incedere verso l’idea di creatività?
Mi avvalgo della prima parte di una delle ultime «schede» del pamphlet perché mi sembra possa sia rispondere sia chiudere il cerchio dell’intervista: «In risposta all’atavica questione sul dubbio che non si possa insegnare a “diventare scrittori”, sono giunta alla conferma che più che non poter essere insegnata la scrittura narrativa, forse non tutti gli allievi sono adatti a impararla. Cioè: non sono tutti tagliati per fare gli scrittori. Io, ad esempio, non sono tagliata per fare la cuoca (non ho memoria per le ricette) o la musicista (non ho orecchio) o la disegnatrice (mi manca la percezione spaziale) o la cameriera (per poca attenzione e scarsa conoscenza di altre lingue), e non sono neppure tagliata per imparare a memoria regole e nozioni, figuriamoci. Eppure, son cose che si insegnano e si imparano. Se ci si accorge di non essere tagliati per fare gli scrittori, non è grave. Il mondo è pieno di bei mestieri. Ugualmente, credo che sia necessario lo stesso talento di un potenziale scrittore per poter apprendere da altri autori. Come a dire che tra scrittori ci si intende, perché si parla la stessa lingua. Ecco il motivo per cui spesso sono gli autori a diventare maestri di scrittura, ecco forse il motivo per cui si distingue la scrittura scolastica dalla scrittura “creativa” o “narrativa”: sono mestieri diversi. Ecco perché le lezioni non corrispondono mai – almeno quelle che io ritengo buone – al modello accademico. Ecco perché molti non imparano e/o criticano le scuole di scrittura, come istituzioni svuota-tasche, inutili. Ecco perché la didattica e la pedagogia nel mondo dell’arte letteraria sono diverse da quanto si aspettano i non-scrittori.»

Manuela Mazzi
Giornalista, è da vent’anni caposettore all’«Azione», settimanale ticinese di approfondimento. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta (Laurana editore).

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