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“Ma tu lo sai almeno cos’è uno stupro?”
Dottoressa Mira, qual è il sentire comune rispetto allo stupro, oggi, stanti le campagne d’informazione promosse da stampa, istituzioni e social network?

Non lo so. Non credo ci sia un sentire comune sullo stupro, e temo sia un bene viste le posizioni dominanti. Dalla stampa in particolare, ma pure in politica, non vedo campagne d’informazione quanto campagne d’ipocrisia. Vogliamo parlare dell’utilità di “panchine rosse” quando non c’è praticamente un Comune che rispetti la convenzione di Istanbul sul numero di posti che dovrebbero esserci per donne uscite da situazioni di violenza? Oppure parliamo delle campagne vittimistiche sui giornali, che hanno deciso che a causa delle femministe brutte e cattive “non si può più dire niente” e invece di andare in terapia ci omaggiano di deliri egocentrici in stile “Non è colpa mia se sono bianco e etero”. I giornalisti sembrano più impegnati a sputare sul femminismo che a fare qualcosa per gli abusi di potere nelle loro stesse redazioni, visti i dati sulle molestie lì dentro (l’85% delle giornaliste ne subisce secondo lo stesso ordine dei giornalisti). Quindi, per tornare alla domanda, no, non credo ci sia un sentire comune. E per fortuna.

Oggidì, il corpo messo al centro del dibattito nella società contemporanea è quello muliebre. Quali forze diverse ed in contrapposizione si combattono su questo campo?

L’idea del corpo messo al centro del dibattito è calzante, e per capire quali forze ci siano in ballo riporto un’immagine degli ultimi tempi. Cinque uomini – ovviamente bianchi, appartenenti a una certa classe sociale, senza disabilità e non tra i più giovani – che disquisiscono in tv di come mai le donne non facciano carriera. È la famosa foto che su internet è diventata un meme, una presa in giro, e il programma è quello di Bruno Vespa, ovviamente uno di quegli uomini. Il corpo delle donne assente, loro che ne parlano e parlano e parlano. E questa è una delle forze in ballo. Ha le telecamere puntate contro ma lo spettacolo non è dei migliori, è masturbazione di gruppo, a questo punto per gli amanti del genere meglio il porno. L’altra forza in ballo, quella non rappresentata o rappresentata in modo funzionale al consolidamento dello status quo, la vedremo per esempio in piazza il 27 novembre a Roma. Per X ho girato l’Italia e so che verranno pullman da ovunque. Quella forza siamo noi. Il femminismo, inteso in maniera intersezionale con le altre lotte all’oppressione, è speranza, di certo lo è per me e per un sacco di altre persone. Le forze in ballo alla fine sono sempre le stesse, e non è mai “donne contro uomini”, è: l’1% della popolazione mondiale che possiede quanto il restante 99%. È capire di far parte di quel 99%. È trovare il modo più giusto e intelligente di unire le lotte, quelle legate al lavoro e quelle legate al genere, alla razza, alle varie forme di disabilità, ai corpi non conformi, a quelli grassi, a quelli umiliati nella loro stessa possibilità di esistere pubblicamente e di essere rappresentati. Ecco quali corpi dovrebbero stare al centro del dibattito e quali sono le forze in ballo. Noi siamo il 99%, l’1% ci fa vedere il suo ben misero ma convincente show.

Si reputa che la intimate partner violence si riveli una strategia per “fare il genere”, e per “fare le maschilità”. La polisemia di accezioni (genere linguistico, biologico e sociale) che la lingua sviluppa dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?

Sì, penso di sì. Se non avessi fiducia nelle parole non avrei scritto X. Dobbiamo trovare gli antidoti alla narrazione che ci vuole solo o vittime o materne. Narrazione ahimè non solo “di destra”. A questo serve riprendersi le parole, affinché a modificare il mondo e il pensiero non siano sempre i soliti.

Quanto è responsabile la società nel suo complesso nell’avvalorare la cultura dello stupro?

Interamente. Se vogliamo quantificarlo: 40mila stupri l’anno solo in Italia, il 90% di questi non denunciati.

“X”: ci svela il significato sotteso alla simbologia?

X è il tabù, quello che non si può dire. L’incognita, quella che il libro stesso non ha la pretesa di risolvere, perché certi problemi sono collettivi e si risolvono collettivamente. È anche un incrocio tra due strade, con quell’unico punto in comune, il riferimento al fratello sparito – e poi, grazie al libro, ritrovato. X è anche un omaggio a Malcolm X, alla sua idea di una violenza non vigliacca come quella patriarcale e razzista ma giusta, una resistenza da portare avanti, come diceva lui, “con ogni mezzo necessario”. Gli altri significati sono nel libro. X è innanzitutto dire di no, e dirlo più forte se qualcuno ha fatto finta di non sentirti. Così forte che non potrà più ignorarlo, perché stavolta, con un libro, quel no lo hanno sentito proprio tutti.

Valentina Mira è laureata in Giurisprudenza. Ha fatto la rider, lavorato al call center e come cameriera mentre scriveva per vari giornali e siti, tra cui il manifesto e il Corriere della Sera. Tra 2017 e 2018 ha curato la pagina culturale del Romanista. X è il suo primo libro.

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